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Shrek


"Shrek": Non potete fare a meno di me...

Sarà anche uno degli uomini più importanti di Hollywood, ma a Jeffrey Katzenberg la Disney deve aver aperto una profonda ferita nel cuore (non inteso come portafoglio, vista la buonuscita ricevuta quando lasciò la casa di Topolino). Ed è certo per questo che non si fa mai pregare quando c'è bisogno di clonare formiche e rompere le uove nel paniere ai progetti di egemonia della sua vecchia committenza. Intanto con "Shrek" ha già battuto il record di essere il primo film d'animazione, o come la si preferisca chiamare, presente in concorso al festival di Cannes, in attesa dell'Oscar apposito che dall'anno prossimo verrà assegnato solo a questo particolare genere. "Shrek", comunque, mettendo da parte le considerazioni tecniche senz'altro doverose, va ben oltre il fenomeno digitale, essendo in prima istanza una storia ben scritta e intelligentemente strutturata, capace di prendere in giro senza assolutamente offenderli tutti i personaggi delle favole e di conseguenza anche dell'universo dello zio Walt. In più, segue molte delle linee più importanti del cinema americano degli ultimi anni, dalla commistione dei generi, alla figura femminile forte ed indipendente, giungendo ad un lieto fine assolutamente politically scorrect che mette tutti d'accordo. Ottima la caratterizzazione dei personaggi, ma superando queste considerazioni di base dell'analisi filmica, si legge tra le righe un discorso ben più importante riguardante proprio il cinema d'animazione: l'orco Shrek, per quanto brutto e non raffinato come i suoi antenati fatti con matita e colori, è stato la salvezza di un genere (vedi "Toy Story"), dandogli nuova linfa grazie alla creatività degli autori, ma non per questo l'animazione digitale soppianterà quella tradizionale. Si tratta solo di vive tutti insieme con armonia.