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Numero 1233° sabato 23 novembre 2024

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La stanza del figlio


"La stanza del figlio": Domenica maledetta domenica


TRAMA

Lo psicanalista Giovanni vive - con la moglie Paola e i figli adolescenti Irene e Andrea - ad Ancona una vita apparentemente imperturbabile. Quando però Andrea muore per un incidente acquatico, il dolore che ne consegue risulta più insanabile del previsto: ognuno dei tre 'superstiti' si chiude in un dolore privato e Giovanni sceglie addirittura di abbandonare la psicanalisi, poichè non riesce più ad agire col distacco necessario. Quando però nella cassetta della posta Paola trova la lettera di Arianna, una ragazza che vive in un'altra città e ha avuto con Andrea una brevissima parentesi sentimentale al campeggio...

Recensione

La frammentarietà avvolgente, l'ironia 'nonostante tutto', le pulsioni irrefrenabili della vita intese come 'rimosso', la spoglia illustrazione di una quotidianeità alterata dal 'troppo vivere', tutto questo il nostalgico ammiratore del Moretti che fu - scosso da sussulti e tormenti fin troppo 'sfuggenti' - troverà nell'atteso ritorno del regista ai propositi narrativi. Potenziato, però, dalla maturità espressiva, la serenità quasi zen, la stratificazione linguistica di un artista che si mette in scena 'rossellinianamente' (o a mo' di un picolo Godard di Monteverde), acquisite dall'autore nostrano più viscerale della sua generazione durante l'eccellente 'fase diaristica'. Ma con novità tanto rigorose quanto inattese: un senso dell'astrazione davvero kiezlowskiano (referente orgogliosamente 'rivendicato' da Moretti), una dimensione atemporale che produce sullo spettatore gli effetti di un limbo 'annichilito' che comunque funge da potenziale antidoto ai 'mali del mondo', in una rappresentazione laica (!!) e tragicamente 'estatica' di un tema tanto più arduo quanto qui rappresentato nella dimensione davvero 'mai vista' delle conseguenze 'burocratico-doganali' dell'improvvisa 'assenza': la morte e il dolore forse insanabile che ne consegue. Moretti e la sua 'Mia Farrow' (non ce ne voglia una Laura Morante davvero superlativa, che sarebbe piaciuta a Cassavetes) accettano la sfida di rappresentare sullo schermo null'altro che l'implacabile 'perdita di senso' di corpi che non riescono più a correllarsi con l'ambiente a loro 'famigliare': il viaggio davvero iniziatico di queste due presenze 'assenti' è concretizzato alla perfezione dalle 'tragicomiche' sedute dello psicoanalista 'capovolto' Moretti (con la sua struggente volontà di ritornare indietro, a 'quella domenica') e dai 'piccoli gesti' di una Morante che tenta in tutti i modi di far rientare la vita 'dalla finestra'. E proprio dall'evocazione davvero abbagliante di un'improvviso ideale di innocenza e 'bellezza' (ah, il cinema, supremo esorcismo!) consegue l'esplodere di un pessimismo appassionato che non può fare a meno di 'sciogliersi' al sole di una coscienza bruscamente 'intuita' (mentre l'algida voce di Brian Eno ci ruba i cuori per abbandonarli 'by this river'): la vita, superba intrusione, scorre spesso 'sull'altra sponda', ma comunque 'come un lungo, fiume tranquillo'.