Moda e trucco come terapiaIn un ospedale di Marsiglia il progetto Espace Arthur si rivolge a ragazzi con gravi disturbi depressivi MARSIGLIA - Prima era diverso. Prima era quando Julie aveva 14 anni e sognava di fare la modella. Bella, giovane, gonfia di passioni. Ma un po' sovrappeso. Per questo, quando nel '99 si presentò col suo book di fotografie a un'agenzia di moda, le dissero "avrai un futuro", ma un futuro che dovrà essere leggero, "basta che dimagrisci un po'". Prese alla lettera Julie il consiglio. Dimagrì, divenne leggera fino alla trasparenza, spigolosa e ossuta come la volevano. Fu così che Julie si ammalò di anoressia. Oggi Julie di anni ne ha 16, e fa corsi di trucco e indossa abiti di giovani designer. Non per lavoro, ma per terapia. Quella che a La Timone University Hospital di Marsiglia stanno sperimentando sugli adolescenti affetti da disturbi comportamentali, dall'anoressia alla depressione clinica. Un progetto, quello che qui chiamano Espace Arthur - nato due anni fa e che ha preso il nome dal poeta Arthur Rimbaud, morto nel 1891 a soli 37 anni dopo una vita, com'è noto, tumultuosa e dissipata - che punta a far recuperare alle ragazze (e ai non pochi ragazzi) il perduto rapporto con la propria immagine proprio attraverso quelle stesse esperienze che quel rapporto hanno interrotto. Può sembrare una specie di contrappasso dantesco, una terapia choc, persino un qualcosa di sadico. E infatti le polemiche non sono mancate. Ma medici e pazienti assicurano che di altro si tratta: nel caso di Julie "tornare a farsi fotografare", spiega Michèle Battista, che guida il progetto Espace Arthur, "significa fare un grande passo avanti: per un anoressico è difficile accettare la propria immagine riflessa in uno specchio". L'Espace Arthur è uno spazio unico nel suo genere in Francia e forse nel mondo. Che ha suscitato, come accennato, diverse polemiche. L'industria della moda è stata da più parti condannata per il suo ruolo di incoraggiamento nella nascita e diffusione dell'anoressia. Il governo spagnolo lo scorso anno ha persino vagheggiato l'idea di abolire le pubblicità che presentassero modelle sottopeso. Le 12 teenagers cui il progetto Espace Arthur è attualmente rivolto svolgono diverse attività, dal jogging ai corsi di ceramica e pittura. L'ora di trucco è tenuta da un'estetista una volta la settimana. I vestiti per le sfilate-terapie sono spesso presi in prestito da una specie di biblioteca della moda fondata dall'Institut Mode Méditerranée. Ma che significa truccarsi e provare abiti per ragazze che di queste attività si sono ammalate? "Queste sono solo alcune delle cose cha fanno tra le altre", spiega la professoressa Battista, "ma in un certo senso ne rappresentano il culmine: chiediamo loro in questo modo di tornare a fare i conti coi loro corpi e quindi con se stessi. C'è una ragazza, tra noi, che si vestiva come una scolara, camicia bianca e gonna alla marinara. Solo così si sentiva adeguata ai desideri dei suoi genitori. Da quando è qui è cambiata: si veste solo come lei si sente d'essere". Dietro tutto ciò, una filosofia. Quella dello psichiatra infantile Marcel Rufo: la malattia isola ed esclude la gente. "La nostra idea è di creare uno spazio che rompa l'isolamento e le barriere", spiega la Battista. All'Espace Arthur ci sono tutti gli strumenti e l'assistenza medica di un normale ospedale, ma anche un'atmosfera che somiglia a quello del mondo esterno. "Il nostro obiettivo è di portare il fuori dentro", continua la Battista. Compresi i vestiti. "Quando per strada vedi un gruppo di ragazzi tutti vestono allo stesso modo, stessi codici segnici e stesso look. Qui invitiamo i ragazzi a uscire dall'anonimato e a sviluppare una propria identità". Molti dei ragazzi che arrivano all'Espace Arthur hanno vissuto o vivono un profondo conflitto coi propri genitori. Alcuni hanno tentato il suicidio. Altri provengono da così profonde depressioni che lo stare a letto è stata a lungo la loro unica posizione vitale. Riducendosi in molti casi a spettri. "Dico loro che essere presentabili fa stare meglio", racconta la Battista. "L'apparenza è il primo contatto che si ha con gli altri: come ci si mostra, mostra quel che si sente e prova". Julie lo sta capendo, raccontano all'Espace Arthure. Non si nasconde più davanti all'obiettivo della macchina fotografica. Si espone, persino: "Ditelo che la maglietta che indosso è mia". |