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Numero 1234° mercoledì 27 novembre 2024

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Indagini a un punto morto, si pensa alla tortura


A più di un mese dagli attentati cresce la frustrazione degli investigatori Usa: i sospetti non parlano, lo Stato democratico non sembra offrire adeguati strumenti di "persuasione".

WASHINGTON - E? passato ben più di un mese dai tragici attentati dell?11 settembre, ma le indagini volte ad accertare le responsabilità e a smantellare al-Qaeda, l?organizzazione di Osama Bin Laden non fanno progressi. Nei giorni immediatamente successivi agli attentati terroristici l?Fbi ha arrestato centinaia di sospetti e tra questi alcuni uomini che - a giudizio degli investigatori - potrebbero dare importanti contributi alle indagini. Tra questi Zacarias Mousaoui, francese di origine marocchina, sospettato di essere il ventesimo dirottatore che non è riuscito a salire a bordo dell'aereo che si è schiantato in Pennsylvania. Si tratta dell?uomo che si era iscritto in una scuola di volo del Minnesota e che, durante il corso, sembrava unicamente interessato ad apprendere il funzionamento degli aerei in volo, ma non in fase di decollo o atterraggio. Circostanza curiosa, che - dopo l?11 settembre - ha fatto convergere su di lui i sospetti. Altri sospettati chiave nell'inchiesta sono Mohammed Jaweed Azmath e Ayub Ali Khan, due indiani arrestati quarantotto ore dopo, mentre viaggiavano con passaporti falsi, coltelli come quelli usati nei dirottamenti e tintura per i capelli. Infine, c'è Nabil Almarabh, il tassista di Boston sospettato di avere legami con al-Qaeda.

Il problema è che nessuno di loro - né nessuno degli 800 fermati - parla. E gli investigatori dell?Fbi si sentono sempre più frustrati e impotenti. La democratica America non avrebbe - secondo quanto riporta il Washington Post - sufficiente potere coercitivo e alcuni esponenti delle agenzie federali sarebbero tentati dall?applicare la mano pesante per strappare preziose informazioni ai sospetti, per costringerli a parlare. Si parla di rendere più duri gli interrogatori, di ricorrere al pentotal (il ?siero della verità?) ed eventualmente a forme di pressione ancora più forti. Ma tutto ciò è lontano anni luce dalla cultura giuridica statunitense tanto che l?ex-capo della sezione anti-terrorismo, Robert Blitzer, sostiene che l'uso della tortura sarebbe un gravissimo errore. "Va contro ogni istinto nel mio corpo - ha detto al Washington Post -. Si rischia di danneggiare o di uccidere la persona sbagliata". Ma per l?Fbi il problema resta: "Siamo conosciuti per il nostro trattamento umanitario, quindi siamo in pratica bloccati - ha detto uno degli investigatori al quitidiano statunitense - Di solito c'è qualche incentivo, un angolo su cui fare perno, qualcosa da dargli?. In questo caso, però, non è sufficiente. E allora potrebbe farsi strada un piccolo escamotage: se gli Usa non possono ricorrere esplicitamente alla tortura o comunque a forme d?interrogatorio che violano i diritti dell?uomo - pensano gli investigatori - allora si potrebbe semplicemente estradare (o minaccare di farlo ) i sospetti in Paesi dove le leggi proteggono meno i diritti umani o dove gli interrogatori sono più brutali. Una misura di dubbia efficacia, sia perché il sospetto potrebbe essere perfettamente innocente (e dunque - diritti a parte - avrebbe davvero poco da dire), sia perché se fosse un membro di al-Qaeda difficilmente si piegherebbe a ?mezzi più persuasivi? (o si pensa che chiunque possa mettersi su un aereo e lanciarsi con freddezza contro le Torri Gemelle e il Pentagono?)