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Guglielmo Marconi accende la radio


Un secolo esatto dalla prima trasmissione. Era un giorno gelido e nebbioso, scrisse lo scienziato che dopo un lavoro preparatorio di sei anni era arrivato al momento clou.

12 dicembre 1901. Guglielmo Marconi è da una settimana a Saint John’s di Terranova, la grande isola canadese, dov’è arrivato un po’ di soppiatto dalla lontana Poldhu, in Cornovaglia. Pochi lo sanno, qualcuno forse lo sospetta, ma il grande scienziato – figlio di un italiano e di un’inglese, l’inventore della radio, l’uomo che come un antico druido ha condotto i suoi esperimenti d’alta magia “fisico-elettrica” nella piana di Salisbury, a due passi da Stonehenge – s’accinge alla più spettacolare delle sue imprese: lanciare un segnale radio che scavalcherà l’Atlantico, da Saint Joh’s di Terranova a Poldhu, in Cornovaglia, con un solo balzo degli stivali delle sette leghe della telegrafia senza fili.

Mercoledì 12, a Roma, per il centenario della prima trasmissionie radio transatlantica il presidente della Repubblica celebra l'evento con gli scienziati della Fondazione Marconi, nella sede del Ministero delle Comunicazioni. Le voci di Guglielmo e della figlia Elettra saranno inviate a ripetizione. Chiunque potrà captarle, purché sia dotato di un apparecchio capace di sintonizzarsi sulla frequenza di 1.296,1 megahertz, quella di molti baracchini amatoriali.

“Era un giorno gelido e nebbioso”, scriverà Marconi qualche anno dopo. “Alla base della collina, novanta metri sotto di noi, muggiva un mare torbido e freddo. Verso l’Oceano, attraverso la nebbia, potevo appena discernere la sagoma di Capo Spear, uno dei punti più orientali del Nord America, mentre al di là di esso ondeggiava l’infinita distesa dell’Oceano, che ci separava con le sue 2000 miglia dalle coste inglesi. Dirimpetto al porto si stendeva la città di San Giovanni avvolta nella nebbia. Il momento critico era giunto. Alla preparazione di esso avevamo lavorato sei lunghi anni nonostante le usuali critiche per tutto ciò che è nuovo. E così io ero sul punto di provare la verità del mio credo”.

È infatti di questo che si tratta: d’un “credo”. A diciotto anni, da autodidatta, dopo un’infanzia tranquilla e un’adolescenza senza lode né infamia, trascorsa frequentando la scuola pubblica e la chiesa valdese, Guglielmo Marconi si è scoperto una vocazione, scriverà più tardi, “per la fisica e per l’elettricità”. Qualche professore lo aiuta a orientarsi, ma il giovanotto per lo più fa da solo, soccorrendosi da sé, con l’istinto e l’intelligenza viva, lampeggiante. È a Oropa, nel biellese, che Marconi viene folgorato dalla visione che deciderà della sua vita e muterà in breve la faccia del mondo: è l’estasi della trasmissione a distanza, l’utopia della comunicazione istantanea, il sogno rigoroso d’un pianeta senza limiti né confini. Marconi si converte alla scienza “della fisica e dell’elettricità” come a una religione. È insieme un profeta e uno scienziato. Ed è uno, oltretutto, che brucia le tappe.

Quando sbarca a Saint Johns, nel dicembre del 1901, sono passati soltanto sette anni da quando, appena ventenne, ha mosso i suoi primi passi nel paese delle meraviglie degli oscillatori VHF e HF. Ne sono passati cinque da quando, nel 1896, ha depositato in rapida successione due prototipi del telegrafo senza fili, cioè della prima radio, all’Ufficio Brevetti di Londra. In seguito i suoi esperimenti si sono fatti sempre più audaci, le sue invenzioni sempre più innovative e imprevedibili. Circa un anno e mezzo prima, il 26 aprile 1900, ha depositato il brevetto nº 7777 sui circuiti sintonici. All’inizio dell’anno, nel gennaio del 1901, si è servito proprio di futuristici apparati sintonici per collegare Saint Catherines e Cape Lizard: 300 chilometri di territorio francese superati alla velocità del pensiero, detto e fatto, senza paura, mentre il segnale radio si scarica da un’antenna all’altra come un fulmine di Giove. Tra pochi anni, nel 1909, riceverà il Premio Nobel. Sarà grazie all’SOS radiotelegrafico lanciato dagli operatori della Marconi Co. che 740 passeggeri del Titanic porteranno a casa la pelle nel 1912. Viaggerà su e giù per i sette mari a bordo del suo yacht Elettra sempre sperimentando tutte le potenzalità della radio. Mezzo inglese e protestante, tuttavia “navigatore e poeta” se mai ce n’è stato uno, diventerà in futuro anche uno dei fascisti italiani più in vista: il fiore all’occhiello, strano a dirsi, d’un regime cattolicissimo e antinglese.

Adesso, in questo dicembre 1901, Marconi è sul punto di realizzare una delle sue grandi imprese, anzi la più grande, quella che lo proietterà definitivamente nell’Olimpo dei simboli del proprio tempo, il tempo presente, l’età della tecnica, l’era della modernità. Un aquilone si libra sopra Signal Hill, a Terranova, mentre “una struttura d’antenne aeree” sollevate “da un castello di pali” è in attesa a Poldhu, in Cornovaglia. Ogni giorno, tra le 15.00 e le 18.00, Poldhu trasmette in Morse la lettera S, “che corrisponde a tre punti e due battute”. Già il 10 e l’11 dicembre il segnale è partito da Poldhu. Ma a Signal Hill non è arrivato nulla. Una signora inglese, in vacanza nell’albergo di Poldhu che ospita gli uomini di Marconi, scuote la testa e dice: “Come volete che vi sentano al Canadà? C’è di mezzo un intero oceano!”

E finalmente arriva il 12 dicembre e Signal Hill riceve la “S” forte e chiara. Marconi e i suoi esultano mentre la notizia che il mondo non sarà più lo stesso fa il giro del pianeta. C’è un tentativo di guastare la festa da parte della Compagnia dei Cavi Traslatlantici, che “possiede una concessione per il controllo delle comunicazioni tra la Terra Nuova e le località situate fuori dai limiti della colonia”, scrive Marconi, e che immediatamente diffida lo scienziato dall’insistere nei suoi esperimenti, “pena il ricorso alle vie giudiziarie”. Ma ci vuol altro per fermare la S che vola da una sponda all’altra dell'oceano.