L'acchiappasogni della pauraDall’ultimo bestseller di Stephen King, un fantahorror bizzarro e poco convincente, ricolmo di citazioni cinematografiche e di sangue, firmato da Lawrence Kasdan. Nelle sale. Come partire per un rilassante weekend a caccia di cervi fra le nevi del grande Nord e ritrovarsi a caccia di alieni, in prima linea in una sanguinosa battaglia dove la posta in gioco è la salvezza della Terra intera e di tutti i suoi inconsapevoli abitanti. Una missione apparentemente impossibile per quattro giovanotti del Maine che non sembrano possedere né lo spirito né il fisico necessari per trasformarsi in novelli Rambo durissimi e invincibili. I quattro amici condividono però uno strano e prezioso segreto: vent’anni prima si erano ritrovati per caso a dover prendere le difese di un ragazzino handicappato dai poteri soprannaturali di nome Duddits, vessato dalla solita banda di teppisti in erba, e quel piccolo gesto generoso aveva cambiato la loro vita. Le facoltà paranormali di Duddits si erano infatti trasmesse ai quattro ragazzi, che una volta diventati adulti si erano ritrovati con la capacità di leggere nel pensiero e di comunicare telepaticamente. Un dono talvolta imbarazzante nella vita quotidiana ma che si rivelerà utilissimo nella battaglia finale che vedrà impegnati i nostri eroi, da una parte, contro le malvagie forze aliene, e dall’altra contro un generale paranoico (Morgan Freeman) convinto che per salvare il mondo la cosa migliore sia cominciare a sterminare un buon numero dei suoi abitanti. Stephen King ha scritto L’acchiappasogni mentre cercava faticosamente di riprendersi dal drammatico incidente d’auto in cui quattro anni fa ha rischiato di perdere la vita. Durante la lunghissima convalescenza, non potendo stare seduto a lungo, era costretto a lavorare in piedi o sdraiato e a scrivere a mano. Limitazioni che non gli hanno impedito di riempire ben settecento pagine, mettendo in fila tutte le sue paure e ossessioni e riprendendo tanti dei temi dei suoi libri precedenti, dal mondo dell’adolescenza al centro del celebre Stand by me all’incubo del contagio descritto in L’ombra dello Scorpione. Lawrence Kasdan, con l’aiuto dello sceneggiatore William Goldman (che già aveva adattato da King Misery non deve morire), ha ridotto la sterminata massa di parole dello scrittore nelle dimensioni di un film di due ore e ha fatto di tutto per cavarsela con onore. Nonostante l’impegno più che evidente, il regista e sceneggiatore americano non sembra però essersi trovato particolarmente a proprio agio nel maneggiare una materia molto lontana da quella solita del suo cinema. Non a caso, l’inizio dell’Acchiappasogni ricorda molto proprio l’atmosfera del film più famoso di Kasdan, Il grande freddo. I quattro amici che si ritrovano dopo tanto tempo, la neve e la notte fuori dalle mura calde della piccola e confortevole baita di montagna, le chiacchiere e le buffonerie messe in scena con brio mentre la tensione lentamente cresce… poi però arrivano gli extraterrestri, che assomigliano un po’ agli alieni spielberghiani degli Incontri ravvicinati del terzo tipo e un po’ al solito Alien, ma senza il mistero dei primi e la capacità terrorizzante del secondo. Gli alieni de L’acchiappasogni alla fine sono delle anguille con i denti, più disgustose che terrificanti, in grado di riempire lo schermo di sangue ma non di regalare allo spettatore neppure un briciolo di vero terrore. Per la verità, da un certo punto in poi, ci si rende conto che forse lo scopo del regista non era quello di fare davvero paura ma piuttosto di divertire, accumulando citazioni cinematografiche e piccoli tocchi assolutamente deliranti (uno per tutti: la pistola di John Wayne che passa di mano in mano trasformandosi di volta in volta in una radiotrasmittente o in un telefono), ma il risultato finisce con l’essere davvero bislacco. Fra un’immagine alla Cronenberg e un riferimento all’Invasione degli ultracorpi, una strizzata d’occhio a Virus letale e qualche ricordo di La città verrà distrutta all’alba di Romero, Kasdan non riesce a decidersi se prendere sul serio la storia che sta raccontando o invece buttarla in farsa. E lo spettatore, anche se un po’ si diverte davanti a tante trovate bizzarre, alla fine non sa bene che pesci pigliare. Esattamente come il regista. |